Episodio 1 - " I semafori decapitati"
 


Quel giorno, sembrava quasi che le poche macchine che erano in circolazione in quei lontani anni ’40, fossero tutte concentrate lì: all’incrocio tra la 75a e la 76a strada, strombazzanti e qualcuna anche accartocciata, coi loro conducenti che, dai finestrini abbassati, lanciavano insulti a destra e a manca. Per Billy Bon quella doveva essere una passeggiata rilassante, nel tentativo di dimenticare le sue ultime disavventure amorose. Invece si trovò, suo malgrado, invischiato in quel guaio che avrebbe poi caratterizzato i giorni a venire. Avendo udito il rumore assordante dei clacson, subito si affrettò per avvicinarsi al luogo del misfatto, insieme a numerosi curiosi. Restò letteralmente allibito, quando notò che i due semafori che dovevano regolare la circolazione di quel punto, erano praticamente tagliati di netto. Sembrava proprio che qualcuno li avesse segati a metà con qualche strano attrezzo. Tra le urla dei conducenti e quelle delle persone che osservavano, un paio d’affannati vigili tentavano di riportare la normalità: la cosa però non gli riusciva affatto. Addirittura, nella foga uno dei due finì con l’ingoiare il suo fischietto.

- Sfiit sfiit haurg!! Ehm!!! Sfiiit -

Urlava piegato in due il capo dei vigili Remson, mentre un burbero camionista lo insultava.

- Imbranato!! –

Nel bel mezzo di quel caos, un vecchietto riconobbe Bon e gli si avvicinò agitato:

- Io c’ero, io ho visto!! –

Gli urlò per farsi sentire.

- Che cosa ha visto? –

Domandò Bon continuando ad osservare lo spettacolo caotico che aveva di fronte.

- E’ stato….. –

Ma il vecchio fu spinto da un’antipatica cicciona.

- Scansati! Ubriacone puzzolente, devo ancora fare la spesa! Io sono una vera massaia! 

Il vecchio, spaventato a morte, si rifugiò tra la folla.

- Un pò di educazione signora!! –

La redarguì Bon. Ma la grossa donna reagì sollevandogli il cappello e spiaccicandogli 
una confezione di dodici uova sulla testa.

- Così impara a rispettare le casalinghe!! –

Se ne andò grugnendo ad un altro esile passante. Bon cercava inutilmente di ripulirsi, ancora incredulo per l’accaduto, quando il vecchietto rispuntò dalla folla.

- Mi scusi signor Bon, le volevo descrivere quello che ho visto….Hic… -

Forse il vecchietto era leggermente ubriaco e Bon non sapeva se dargli credito.

- Si sbrighi, per favore, prima che torni quel mostro –
- Io l’ ho visto! Era un Samurai giapponese e ha tagliato in due i semafori col suo 
spadone…..Hic… -

Bon restò attonito. Subito un altro passante intervenne.

- Signor Bon, non dia ascolto a questo ubriacone, passa più tempo in birreria che a casa sua - 

- Ma io l’ ho visto!…Hic -

Ribatté il vecchio sicuro di sé. In effetti era decisamente sbronzo, ma Bon notò nella lucentezza dei suoi occhi, qualcosa che lo spinse a fidarsi di lui. Pochi istanti dopo, arrivarono sul posto alcuni agenti di polizia decisi a ristabilire definitivamente l’ordine. Si misero a disperdere i curiosi.

- Circolare…non c’è più nulla da vedere…-
- Tornate alle vostre case, lasciateci lavorare –

Un giovane agente raggiunse anche Bon e il vecchio.

- Circolare per favore, anche voi signori su! –
- Un momento! –

Gli disse Bon esibendo il suo tesserino. L’agente lo riconobbe e rimase affascinato dal suo eroe.

- Ma lei è Billy Bon in persona!! –
- Si! Uova comprese –
- Lasci che le stringa la mano, questo è il giorno più bello della mia vita –

Bon gli porse la mano unta di albume e il giovane la strinse come se fosse quella del Presidente.Subito dopo si ripulì nella divisa cercando di non farsi notare. 

- Stavo ascoltando la testimonianza di quest’uomo –

Gli disse Bon.

- Sembra aver visto qualcosa –
- Se è per questo non è il solo, ne stiamo sentendo di tutti i colori –

Rispose il giovane agente sempre eccitato.

- Ma io sono sincero…Hic…e non m’ interessano i colori..Hic… -
- Ma quest’ uomo è ubriaco fradicio!! –

Esclamò perplesso il giovane agente incredulo.

- E lei dà retta ad un ubriacone!? –

Bon cercò di spiegarsi, ma l’ agente lo screditò senza pietà e se ne andò deluso da colui che fino a quel giorno era stato il suo eroe, ma che ora era soltanto uno dei tanti incapaci. Bon ne aveva già abbastanza di quella storia e di quel posto. Le uova poi, ormai seccate sui suoi capelli, gli davano tremendamente fastidio. Si rivolse nervoso verso il vecchietto:

- Venga al dunque per favore, signor?…Perché avrà pur un nome?! –

- Mi chiamo Fred…Fred….Mah…Ehm… Dovrei avere addirittura un paio di cognomi ma adesso non me li ricordo…..Hic –

- Mi meraviglio di me che gli do retta –

Sussurrò tra sé Bon sconsolato

- Venga al punto per favore, cosa ha visto!? Si può sapere?! –
- Quel pazzo, cioè quel samurai, è saltato fuori all’ improvviso da un tombino e dopo aver urlato qualcosa, sicuramente in giapponese, ha estratto la sua lunga spada e ha tagliato di netto, in un sol colpo, quei semafori… si! Una cosa mai vista!! - 
- Allora mi segua!! –

Ordinò deciso Bon al vecchietto.Voleva confrontare la sua versione con quella degli altri testimoni e così lo condusse dove alcuni agenti raccoglievano le deposizioni. Poco più lontano, accasciato, da solo sul marciapiede, il capo dei vigili Remson stava tentando di vincere la sua personale battaglia contro il fischietto ingoiato, ignorato incredibilmente da tutti e deriso da un gruppo di monellacci di quel quartiere. Il resto della folla era attirato dalle testimonianze che stavano raccogliendo alcuni agenti sul posto. Ogni tentativo di disperdere tutte quelle persone era vano, la curiosità era troppo grande. Usando la sua influenza, Bon riuscì ad accompagnare il vecchietto tra i super testimoni ma gli agenti lo scartarono subito, giudicandolo inattendibile per il suo appariscente stato d’ebbrezza. Per il giovane agente di prima fu un altro duro colpo: dovette assistere al secondo fallimento consecutivo del suo ex eroe. Mentre il vecchio era allontanato, rischiando perfino l’arresto, Bon decise di restare per ascoltare qualche versione dell’accaduto:

- Erano in due, uno aveva un martello pneumatico, l’altro una sega a vapore Modello 
Mississippi…..una delle migliori –
- Vada avanti per cortesia! –

Urlò il sergente O’ Hara arrivato al colmo della pazienza.

_ Ehm… Si stavano sfidando per via di una donna. Quello col martello pneumatico, 
vedendo nelle luci dei due semafori, gli occhi verdi dell’ amata che l’ aveva tradito, si 
accanì come una furia, abbattendoli senza pietà –

- Portatelo viaaa! -
Urlò O’ Hara, slacciandosi il colletto della camicia.

- Sbattete in galera anche questo e avanti un’altro….Voglio la verità!!..Avete capito?! 
Non ho tempo da perdere!! –

Si fece avanti uno stravagante personaggio con un pesante turbante indiano sulla testa. Dopo aver eseguito uno strano saluto orientale rivolto al furioso sergente, disse melanconico:

- Sono stato io…..li ho spezzati con la forza della mia mente….Anche lei, se vuole, può 
riuscirci. Basta concentrarsi intensamente –
- Viaaa!!…Portatemelo viaaa!! –

Urlò di nuovo il sergente paonazzo in volto.

- C’ è qualcuno, per favore, che abbia visto quello che è successo? –

Fu il momento di un giovane che portava al collo la sciarpa dei New York Giants. Si presentò deciso al cospetto di O’ Hara.

- Io ho visto tutto! Quell’ultimo touch down non era regolare, ecco spiegato il motivo 
della contestazione verso la dirigenza da parte dei tifosi –

O’ Hara, per un istante, rimase perplesso. Cercò con lo sguardo aiuto tra la folla, nessuno però sembrava capire le parole deliranti del giovane tifoso.

- Ma cosa dice questo qua?….Ma lei è un pazzo lo sa? –

Il giovane ci rimase malissimo.

- Ma come!?…Non è una retata nei confronti dei tifosi dei New York Giants? –

Dopo questa domanda, O’ Hara cadde come un grosso albero tagliato di netto. Intervennero definitivamente tutti i suoi colleghi per disperdere una volta per tutte i curiosi. Nel nuovo trambusto creatosi, una giovane ragazza che si trovava davanti a Bon esclamò:

- Ma io ho visto veramente quello che è successo, quel terribile Samurai sbucato dal 
nulla, che ha tagliato come grissini i due semafori –
- Come ha detto signorina? –

La interruppe Bon.

- No, niente….Stavo chiacchierando con la mia amica –
- Perché non parla con me, ci potrebbe scappare anche una bevuta –
- Allora vengo anch’ io….Hic –

Si aggiunse il vecchio Fred risbucato da chissà dove. Bon convinse i due testimoni a confrontarsi e la ragazza confermò in pieno la versione del vecchio.
Ancora una volta Billy era riuscito a saperne più della polizia. Lo strano personaggio travestito da Samurai, non era più la patetica visione di un ubriaco squattrinato, bensì la realtà. Una domanda sorgeva spontanea ora: chi era quel tipo? Cosa cercava?
Un improvviso bagliore lo accecò. Sembrava quasi che una stella fosse precipitata dal cielo avvolgendo nella sua luce ogni cosa. Bon si portò le mani agli occhi e si voltò per proteggersi.
Qualche giorno prima, in un luogo dove il tempo era annullato dal fragore delle tempeste o dalle bonacce malinconiche di un oceano senza fine, le grandi onde roboanti, s’infrangevano, possenti, contro la scoscesa e ripida scogliera. Esausto, ricoperto di fango e di sudore, osservava dall’alto il percorso intrapreso per la pericolosa scalata. C’ era riuscito. Finalmente era sull’isola. Adesso doveva scoprire se era quella giusta oppure un altro vano tentativo. Aveva dedicato gran parte della sua vita a questa disperata ricerca e forse, finalmente, era riuscito a trovare l’isola di Pula. Dopo essersi riposato, si addentrò nella foresta, orientandosi interpretando un’antica e logora mappa che teneva tra le mani. Dopo diversi minuti di cammino, si fermò guardandosi intorno. 

- E’ il posto giusto! – 

Esclamò tra sé notando un bacco da seta gigantesco che depositava uova gialle ocra.
Dalla sua sacca estrasse quattro piccoli cubetti di legno, li lanciò in aria e ne ricaddero solo tre. Il quarto stava nella mano aperta dell’arcimaga Paurosaki, apparsa come d’incanto davanti a lui in una nuvola di polvere magica violetta.

- Chi mi ha evocato dalle mie remote mansioni magiche? –

L’uomo s’ inginocchiò rispettoso pronunziando un’antica formula:

- Ki ghe no, ki ghe si –
- Bravo discepolo, vedo che ti sei applicato nello studio degli antichi riti…..Chiedi e forse ti sarà dato –
- Potentissima arcimaga….Indicami la via segreta che conduce alla fortezza di Lamaoba e aiutami nella mia impresa –
- Ha ha ha ….Ancora quest’assurda pretesa! -
- Si! Voglio rubare le famose ciabatte dell’Imperatore! –

A quest’affermazione, alla maga s’ illuminarono gli occhi. Un tremito scosse il terreno tutt’intorno.

- Pazzo!! Come osi sfidare antichi incantesimi come questo! Non te lo ripeterò più una seconda volta, basta con queste sciocchezze! –
- Ma potente Paurosaki, io devo! –
- Chi credi di essere tu? Non sei che un grammo di polvere disperso nell’immenso deserto del tempo –
- Io sono il tuo umilissimo schiavo Tomaiashi Ciabatey –

Ripeté mesto Ciabatey prostrandosi ancor più al cospetto della potente maga.

- Devi dimenticare il tuo antenato Kengo Sciavate, devi dimenticare questa storia, ti 
porterà solo guai. Se le guardie imperiali, per punizione, amputarono entrambi i piedi del tuo antenato, avranno avuto un buon motivo - 
- Da allora, fino a pochi decenni or sono, un editto dell’Imperatore comandava quell’orribile amputazione a tutti i primogeniti della nostra famiglia. Pensi, potente arcimaga, che perfino mio nonno non aveva i piedi –
- Che reato credi avesse commesso Sciavate? -

La collera che covava in Ciabatey fu alimentata come benzina sul fuoco da quella semplice domanda.

- Niente!….Ne abbiamo già parlato più volte. Assolutamente niente!!! –

Urlò prima di calmarsi e di spiegarsi:

- La sua unica colpa fu di essere il calzolaio imperiale. Sbagliò nel prendere le 
misure del reale piede dell’ Imperatore Cato Hou, causandogli con le sue ciabatte 
nuove, il fastidioso principio di un callo…..Ecco quale è stata la sua colpa!! –
- Un momento! –

Esclamò la maga.

- Se ben ricordo, per colpa di quel mal di piedi, il saggio Imperatore, che mai in tutta la 
sua vita aveva preso una decisione errata, per quel breve periodo non fu se stesso. Perse una guerra, quattro figli e due mogli. L’Impero Giapponese rischiò di essere annientato dai Mongoli e anni di carestie terribili seguirono per colpa di Kengo Sciavate –
- Sciocchezze!! –

Esplose Ciabatey

- Con il dovuto rispetto che ho per lei, potente Paurosaki, il mio avo non aveva nessuna 
colpa e io lo vendicherò –
- Bada! Terribili incantesimi proteggono quel luogo. Io ti posso indicare la strada ma il 
resto dipenderà unicamente dal tuo valore….Quindi mi sa tanto che non 
hai speranze - 
- Mi indichi la strada, preferisco morire qui oggi piuttosto che vivere il resto della mia 
vita nell’umiliazione –
- E sia allora! Non tenterò più di fermarti. Quella è la via –

La maga alzò la mano e indicò la direzione con l’indice puntato. A quel gesto gli elementi si scatenarono e un violento ciclone sradicò gli alberi secolari della foresta, mostrando la via. L’arcimaga scomparve lasciando nelle mani di Ciabatey il quarto cubetto di legno. Ciabatey tremava come una foglia, il potere degli arcimaghi era grandioso.
All’interno dell’isola, sorgeva un piccolo villaggio di pastori e agricoltori, spesso vittime dei banditi che vivevano sulle montagne.

- Vecchio! Dammi il tuo riso! –

Stava ordinando il bandito Uruma con la sua bocca priva di denti e un occhio guercio. Il coraggioso vecchio gli rovesciò il piatto di riso addosso.

- Non ho paura di un uomo senza denti –

Gli uomini del bandito lo circondarono tra le urla di terrore dei paesani.

- Lasciatelo! –

Esplose una voce tuonante. Era il grande Okudera, la guardia imperiale prescelta per vegliare sulla mitica tomba di Cato Hou e membro della nobile stirpe degli Okudera, famiglia da sempre al servizio dell’Imperatore. Vedendo la possente figura del Samurai, i banditi si volatilizzarono, tranne uno: il capo Uruma.

_ Hi hi hi -

Rideva il vecchio mentre raccoglieva da terra il suo riso.

- Rubare è un atto vile –

Disse Okudera avvicinandosi.

- Sulle montagne si muore di fame, tu parli di viltà, ma hai servi e cibo in 
abbondanza, mentre noi mangiamo le cortecce degli alberi… Guarda qua la mia 
bocca come è ridotta –
- Queste sono tutte scuse, qui in paese abbiamo case e cibo per tutti. Quello che 
serve sono il lavoro e la disciplina, voi non volete lavorare –

Per tutta risposta Uruma estrasse la spada, mentre Okudera assunse una posizione di preghiera.

- Che cosa fai? Chiedi perdono per i tuoi peccati? –

Domandò con scherno il bandito, prima di lanciarsi all’attacco contro il Samurai. Vibrò il colpo mortale con la sua spada ma Okudera bloccò la lama con due dita girandola e disarmando così l’incredulo avversario. I compari del bandito, vedendo il loro capo umiliato in quel modo, contrattaccarono lanciando sul Samurai una pioggia d’armi rudimentali. Okudera evitò il loro attacco con una tranquillità disarmante, dopo di che li salutò con l’inchino tipico del Samurai. Lanciò contro di loro il suo boomerang e li uccise tutti. Lasciò in vita solo Uruma, che giaceva disperato ai suoi piedi. Il saggio Okudera parlò:

- I tuoi uomini non sono morti invano, ora vivono in te. Se saprai onorarli col lavoro e 
una vita onesta, essi vivranno per l’eternità nei cieli buoni. Comprendi come sia facile morire ed invece difficile vivere nel modo giusto? –
- Comprendo, comprendo –

Ripeté mesto il bandito.

- Allora vai e vivi saggiamente - 

Okudera fece ritorno alla fortezza di Lamaoba, salutato dagli applausi degli abitanti del paesello, che lo veneravano come una divinità. Allontanatosi il Samurai, Uruma non visto, stordì una povera vecchietta e gli rubò le sue pannocchie, prima di scomparire, ridendo sadicamente, tra le montagne. Solo pochi giorni prima, in un mondo completamente lontano dall’umile paesello sull’isola di Pula…. Il tramonto colorava di rosso intenso la sfarzosa zona di Time Square. Nella gioielleria di John Flipper,una delle più rinomate di New York, stava capitando una cosa inconsueta. John Flipper in persona era appena entrato nel suo negozio, cosa che a quell’ora non faceva praticamente mai. Si diresse con decisione verso uno dei suoi trenta commessi.

- Buona sera signor Flipper –

Lo salutò emozionato il giovane commesso.

- Si allacci bene quel bottone per favore e si sistemi il colletto –

Lo redarguì Flipper, che poi si avvicinò alla vetrinetta contenente uno dei gioielli più preziosi di tutta la collezione: la pantera nera, un gigantesco diamante nero d’origine africana.

- Serve qualcosa signore? –
- Sono venuto per prelevare la pantera nera –
- Non si può! –

Rispose deciso il giovane commesso. Flipper rimase perplesso.

- Ma cosa diavolo dice!? –
- Mi vuole mettere alla prova signore, non è vero? –
- Ma quale prova! Apra subito quella vetrinetta, che tra l’altro sono anche di corsa questa sera –
- Signore! Proprio lei si è raccomandato più volte di non aprire per nessun motivo questa vetrinetta…mai! –
- Non aprirla agli altri, non a me! –
- Io mi rifiuto di aprire! –
- Insomma basta! Ubbidisca e non discuta! –
- James…James! –

Urlò il giovane commesso. Un vecchio inserviente subito li raggiunse.

- Il signor Flipper vuole che apra la vetrina che contiene la pantera nera e che gli 
consegni il gioiello –
- E’ assolutamente proibito!

Si affrettò a puntualizzare James.

- Ma io sono il padrone qua dentro e voglio quel gioiello! Avete capito che mi serve!? -
- Bisogna sentire cosa ne pensa Duglas –
- Al diavolo Duglas, aprite subito quella vetrina o vi licenzio tutti! –

Duglas, poco lontano dai tre, udendo il suo nome si avvicinò incuriosito.

- Buona sera signor Flipper, a cosa dobbiamo il piacere di questa sua visita inaspettata?
- Sono venuto per ritirare la pantera nera –
- Impossibile! –
- Anche lei ci si mette!? –
- Bisognerebbe telefonare a Kirkwood, alla sede di S. Francisco –
- Non facciamola troppo lunga per cortesia, a me serve quel gioiello e Stop! Sono io che comando qui! –
- E’ disposto ad assumersi la totale responsabilità? –

Si azzardò a domandare timidamente Duglas. Flipper divenne paonazzo in viso, colpì con un pugno l’aria e si avviò verso l’uscita.

- Questa faccenda non finisce qui! Mi sono spiegato!? Quel gioiello era per mia moglie, questa sera diamo un’importante ricevimento….In ogni caso io non devo giustificarmi con voi, razza d’idioti! Faremo i conti domani! –

Un isterico Flipper uscì come un tornado dalla sua gioielleria, seguito dai tre commessi molto preoccupati.

- Signore ci ripensi, se vuole, il gioiello lo può avere anche subito –

Lo stava in pratica implorando Duglas con le lacrime agli occhi.

- Andate tutti al diavolo! –

Flipper salì sulla sua limousine e scomparve nel traffico.

- L’abbiamo combinata grossa! –

Esclamò James, mentre rientravano nel negozio.

- Abbiamo rispettato un suo ordine, non c’è nulla da temere, conosceva bene la 
procedura, questi padroni presuntuosi che si sentono al di sopra delle regole non mi garbano molto –

Cercò di rincuorarlo il giovane commesso, nemmeno lui troppo convinto di ciò che stava dicendo. 

- Abbiamo fatto la cosa giusta…vedrete che Kirkwood approverà il nostro 
comportamento e ci proteggerà –

Chiuse definitivamente Duglas. Ma tra i tre non brillava certo l’allegria, anzi…. Poco prima della chiusura, Flipper entrò di nuovo nel locale. Dato che nel frattempo, si era sparsa nel negozio la notizia di quanto era accaduto ai tre sventurati commessi, tutti lo fissarono spaventati.

- E’ venuto per licenziarci! –

Pensarono i tre. Senza parlare, Flipper si recò di nuovo al banco del giovane commesso. Duglas li raggiunse immediatamente.

- E va bene signore….aprila –

Ordinò al collega. La vetrinetta si aprì dopo che il commesso ebbe digitato una combinazione segreta su una minuscola tastiera. Senza nemmeno fiatare, Flipper ne estrasse il gioiello e lo avvolse in un panno di velluto mettendoselo poi in tasca. Salutò tutti con un cenno della mano, prima di uscire e sfrecciare via su di un taxi. 

- Siamo salvi! –

Esultò il giovane commesso saltando sul bancone.

- Siamo stati fortunati, meno male che è tornato! –

Gli fece eco James.

- Si vedeva però che era arrabbiato –

Disse Duglas.

- Non ha detto una sola parola, lui che di solito, è sempre così loquace –

I festeggiamenti furono interrotti dalla nuova ed imprevedibile comparsa del proprietario, che furente entrò nel negozio come un proiettile impazzito.

- Voglio dirvi una cosa sola a tutti voi! –

Urlò rivolto a tutti i dipendenti.

- Ero già a casa e mi ero calmato, quando ho pensato bene di ritornare e farvi un 
bel discorso chiarificatore: sappiate che qua dentro il burattinaio che controlla tutti i fili sono io, John Flipper! Io sono al di sopra di qualsiasi dettaglio o regolamento, quando parlo si esegue e punto! Sono stato chiaro!?…. Quando io ordino esigo ubbidienza e velocità, va bene!? –

Nel negozio non volava una mosca,tutti se ne stavano rannicchiati dietro i loro banconi a sorbirsi la ramanzina.

- Quando io voglio un oggetto qualsiasi qua dentro, mi deve essere consegnato 
immediatamente… e se questa sera mi serve la pantera nera voi……. –

Flipper indicò in quel preciso istante la vetrinetta, che solo poco prima conteneva il gioiello e vedendola vuota gli prese letteralmente un colpo. Un quarto d’ora dopo, il negozio era pieno d’infermieri e poliziotti. John Flipper aveva rischiato l’infarto ed ora stava ancora urlando tra un sedativo e l’altro:

- Ma a chi l’avete dato!? Non ero io…Non ero io! Idioti! Consideratevi morti!!! –

Fu portato via in quello stato. Subito scattarono le indagini ma del gioiello non si seppe più nulla. In una sfarzosa villa ottocentesca, protetta da un grande parco privato, qualcuno stava brindando, solitario, alla riuscita del colpo sulle note della sinfonia n. 40 di Mozart.

- Non c’è colpo impossibile per me, perché io sono Arsenio Du Prêt! –

Disse tra sé il diabolico ladro, mentre sorseggiando cognac, contemplava la mitica pantera nera, ormai nelle sue mani. Dopo essersi gustato per diverso tempo il nuovo gioiello, Du Prêt si alzò dalla comoda poltrona e si diresse verso la parete del salone, alla quale erano appese le vetrinette che contenevano i frutti di tutti i suoi colpi. Con delicatezza inserì la pantera nera tra l’elefante d’argento, rubato a Città del Capo e il granchio di cristallo, rubato nella casa di Fidel Castro. Voltandosi si mise a rimirare la grande ricchezza contenuta nel suo salone. Mezzi busti romani, alcune mummie trafugate nella tomba del grande Faraone egiziano At – Hak – At, tutta la sua collezione di quadri preziosissimi, rubati nei musei più importanti del mondo e sostituiti da falsi dipinti da lui stesso. Fu improvvisamente rapito da un quadro in particolare: la senora Sabasa y Garcìa, del Goyia, che in quel momento era illuminato dalla calda ed intensa luce del camino. Quel giovane volto di fanciulla, sembrava respirare ed assorbire vita dai colori e quasi riemergere lentamente dal passato. Du prêt si sentì attratto da quegli occhi così reali e vivi, dalle giovani labbra appartenute ad un passato sconosciuto ma che ora sembrava volessero parlargli…. E così, infatti, fu.

- Buona sera caro signor Du prêt –
- Buona sera –

Rispose Du prêt, come sempre educato. Poi però, il bicchiere che teneva tra le mani gli cadde frantumandosi.

- Mafelica, maledizione! Ti manifesti sempre nei modi più insoliti –
- Io posso essere ovunque e qualsiasi cosa –
- Lo sai quanto costano questi bicchieri? –
- Con il colpo che ti ho permesso di fare questa sera ne potrai comprare un milione –
- Scusami, è che le tue apparizioni bizzarre mi spaventano sempre –
- Questo perché sei solo un uomo. Ha…ha…ha… -

Rise la strega sistemandosi i riccioli dipinti.

- Io ti devo molto, ma devi smetterla di trattarmi come una nullità, sono sì un uomo ma..
soprattutto Arsenio Du Prêt! –
- Tu sei quello che dico io e farai quello che dico io, come sempre! – 
- Sì Mafelica, scusami –
- Da anni usi la mia magia per cambiare le tue sembianze ed assumere qualsiasi identità. Tutto questo ti ha permesso di diventare quello che sei oggi. Te li ricordi i patti? – 
- Veramente io non ricordo nulla –

Il quadro iniziò ad ondeggiare freneticamente sulla parete. A quella vista, Du Prêt s’inginocchiò atterrito. 

- Sapevi che un giorno ti avrei chiesto un favore in cambio di ciò che ti ho concesso,
ebbene, quel giorno è arrivato. Ora sono io ad avere bisogno di te –
- Che cosa devo fare? –

Chiese umilmente Du Prêt. A quelle parole, un pugnale sibilò nell’aria, conficcandosi nella parete che stava alle spalle del ladro e infilzando un punto imprecisato di un’antica mappa.

- Tu ti recherai in quel luogo! –

Du Prêt, incuriosito, andò a guardare.

- In Giappone?! –

Esclamò confuso.

- Su una piccola isola vicino al Giappone –
- Cosa c’è da rubare in un posto del genere? –
- Qualcosa che vale più di tutto quello che potresti rubare in tutta la tua misera esistenza –

Du Prêt fu colto da una smania ed una curiosità morbose.

- Che cosa può essere? –

Domandò eccitato immaginandosi antichi e sperduti tesori pirateschi.

- Le ciabatte dell’Imperatore Cato Hou –
- Un paio di ciabatte?! – 

Esclamò impietrito Du prêt. Il quadro però, era tornato a fissarlo ingenuo e privo di vita. L’incantesimo era finito e la strega se ne era andata. Sul tavolino, posto accanto allo sfarzoso divano che stava al centro del salone, spiccava il biglietto aereo di andata e ritorno per il Giappone.



Fine prima parte

Non perdete il prossimo episodio dal titolo:

 “ Le ciabatte dell’Imperatore