Introduzione.
In quell’ afosa serata padana, il giovane Gioacchino decise di far
rinfrescare il suo cagnolino Gilberto
nelle tranquille acque del Naviglio pavese.
- Vai Gilberto, riporta indietro il legnetto !
Tutta felice, la bestiola si tuffò, subito scomparendo nelle nere
acque notturne.
- Gilberto ! Dove sei !?
Iniziando ad inquietarsi il ragazzo si avvicinò alla riva, dove notò
il collarino dell’animale cullato dalle
acque, tranciato di netto dall’ evidente morso di un pesce enorme.
Mentre Gioacchino ragionava su ciò che poteva essere accaduto, una
sorta di onda anomala si abbatté sulla
riva, sbilanciandolo e facendolo rotolare per alcuni metri.
Bagnato fradicio, il giovane si dimenticò completamente delle sorti
del suo cane e corse disperato nel bel
mezzo della trafficata Statale dei Giovi, dove fu travolto da un
pesante automezzo che nemmeno si accorse di
lui, trascinando il suo corpo straziato fino a Pavia.
Capitolo primo:
L’ odore del vino penetrava le narici degli abituali clienti
dell’osteria “Il Voltone”,
e tra il fumo delle sigarette quasi solido, si fece largo il noto, e
poco credibile, Alfredo Pocaerba.
- Che roba gent ! A mumenti al ma tira den anca mi !
- Ma sa ta se dre di Alfredo !? Cunta no su i tu solit ball !
Lo azzittì subito il suo amico Eriberto, mentre giocava erroneamente
un “carico” scatenando l’ira del suo
socio di briscola, che già aveva perduto più di una mano per colpa
sua.
- U pescà un lusc che’l sarà ses chili !
- E due a l’è adess!?
Domandò di nuovo Eriberto, dal momento che il suo socio di carte se ne
era andato giurando che con lui aveva
chiuso.
- A glevi quasi in man, quand al m’ ha mangià la sedagna e l’ è burlà
den !
- Ma mucla da cacià bal !
L’ apostrofò un altro pescatore, al quale si unirono praticamente
tutti i presenti dell’osteria, che lo
riempirono di insulti costringendolo ad andarsene.
- Si bon dumà vialter da pescà ! Mi sun bon da fa nient !
Disse prima di uscire e di udire l’ ultimo insulto:
- Pirlòn !
Il pomeriggio seguente, mentre Eriberto pescava lungo le sponde del
Naviglio, nella sua mente rimbombavano
ancora le ridicole affermazioni del Pocaerba.
- Ma sa poeu di certi rob !? Un lusc da ses chili ! Chel li l’ha passà
tuta la su vita a cacià bal !
E intanto tirava a riva un discreto cavedano di qualche etto.
- Va che bei peslott che ciapi mi ! Quest chi mla mangi stasira !
Ma mentre pensava a come cucinare la sua preda, l’enorme bocca di un
luccio smisurato balzò fuori dalle acque
e lo inghiottì.
Alla terrificante scena assistette proprio l’amico Alfredo, che in
bicicletta lo stava raggiungendo per
portargli nuove esche. Con veloci pedalate e rischiando più volte di
ruzzolare a terra, Pocaerba raggiunse il
luogo della tragedia, dove erano rimasti solo due stivali di gomma ed
una canna spezzata. Più che mai
sbigottito, Alfredo se ne stava lì, rigido ad osservare il pacifico
scorrere dell’acqua, ancora terrorizzato
da ciò che aveva veduto coi suoi occhi.
In quegli attimi drammatici, sulla sponda opposta si fermò l’auto di
Marcello, il cognato di Eriberto.
- Alfredo, t’ è vist l’ Eriberto !?
Pensando di non essere creduto, data la sua reputazione, Pocaerba
scelse la strada dell’omertà.
- Sun rivà adess Marcell, ma lu al ghè no ! Ghe chi dumà i su strivai
!
- Al sarà minga burlà den !?
- Su no mi ! Sa fem adess !?
- Chi bisogna ciamà i Carabiniè ! Ti sta chi e moevas no, che mi a vu
in paes a parlà cul Maresciall…
Appena ripartito Marcello, Alfredo sentì le forze venir meno, e in
preda ad un mancamento si sdraiò sulla
tiepida erba, ancora incredulo per ciò che aveva visto.
Ore dopo le ricerche proseguivano ininterrotte, e quel tratto di
Naviglio fu dragato senza alcun risultato.
- Maresciallo, se l’ Eriberto è caduto dentro chissà adesso dov’è !
Fece presente uno dei sommozzatori levandosi la pesante bombola
d’ossigeno dalla schiena.
- Par mi a l’è giamù in dal Tesin !
Disse il preoccupato Marcello, mentre anche la moglie di Alfredo ed i
suoi figli erano sopraggiunti sul
posto.
- Calma con queste congetture ! Innanzitutto bisognerebbe stabilire l’
esatta dinamica dell’incidente…
- Quand sun rivà mi ghera chi l’Alfredo caciabal ! Adess l’è andai a
cà a mangià, ma al gheva una facia
minga bèla… A m’han dì che ier sira han quasi tacà lit cume al solit…
Cal Pocaerba lì al ma cunvicia poc!...
Così venne alla luce la discussione della sera precedente a proposito
del presunto luccio gigantesco pescato
dal Pocaerba, e in conseguenza di ciò le indagini furono condotte in
quella direzione.
Afredo Pocaerba fu ufficialmente sospettato della scomparsa dell’amico
Eriberto e torchiato per ore,
nonostante gli inquirenti non avessero in mano prove evidenti.
In quei giorni, l’atmosfera all’osteria “ Il Voltone ” era ben diversa
dal solito.
Ogni volta che Alfredo entrava, veniva immancabilmente raggiunto da
accuse sussurrate e sguardi ostili, e
dopo pochi bicchieri di vino se ne tornava a casa col suo segreto
chiuso nello stomaco, ormai bloccato da
tempo.
Dopo giorni di travaglio interiore, Pocaerba decise di rivolgersi a
Don Carlo, non aveva altra soluzione.
Alfredo aveva abbandonato la Chiesa alla tenera età di dodici anni,
manipolato da cattive compagnie,
trasformandosi in uno dei più incalliti bracconieri della zona. Nelle
ultime notti insonni, passate a
rimuginare sulla sua vita e su ciò a cui aveva assistito, si convinse
che forse si trattava di un disegno
divino per ricondurlo sulla retta via e che l’unica cosa da fare era
parlarne con un uomo di Fede…